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Con questo ritmo di crescita addio al welfare

Si sta incrinando il Welfare State, siamo minacciati da un’economia a pezzi che rischia di cambiarci la vita. La Commissione Ue rivela che, «se resteranno gli odierni ritmi di crescita, non sarà più possibile conservare l’attuale livello di protezione sociale». Senza uno sviluppo che rompa il circolo vizioso di finanza bucata e stagnazione, il destino dell’Europa è fare un passo indietro e sforbiciare il “Sozialstaat” «fondato negli anni d’oro dell’espansione continentale», dunque perdere su sanità, assistenza e previdenza. La creazione di ricchezza, avverte Bruxelles, «è indispensabile per sostenere il modello sociale europeo». Ma la crescita ora non c’è, e nell’Eurozona la situazione «è aggravata dalla crisi dei debiti sovrani e dalle fragilità del settore bancario». Siamo insomma finiti in un «pericoloso» circolo vizioso, si prepara a dire la Commissione col rapporto macroeconomico annuale (Growth Survey) che varerà mercoledì. Davvero difficile uscirne. Dopo quattro anni di sconquassi, recita la bozza del documento, «c’è poco spazio per gli stimoli allo sviluppo» e la politica fiscale «è limitata dall’alto costo dell’accesso ai mercati». Eppure si deve trovare il modo. La miscela fra turbolenze borsistiche e congiuntura fiacca ha sfiancato il motore europeo. Nel 2012 il pil di Eurolandia aumenterà di appena mezzo punto, l’Italia sarà poco sopra lo zero e le locomotive tedesca e francese sotto l’uno. Se va bene. I mercati si sono scatenati contro i paesi indebitati dove «la necessaria azione di consolidamento ha frenato la crescita». Certo, nota Bruxelles, «una risoluta azione sui conti pubblici dovrebbe rinfocolare la fiducia», eppure il ciclo «non si riprenderà rapidamente». Serve subito un «circuit breaker», assicura. Serve il ritorno della crescita. I paletti non mancano. Dal 2007 al 2013 si prevede un aumento medio del rapporto debito/pil di 25 punti percentuali. E’ l’effetto della crisi e anche del graduale aumento dell’età della popolazione, che chiede più sostegni e più servizi sociali. Pertanto «non esiste al momento alcuna opzione fattibile se non realizzare un’ampia e credibile strategia fiscale di uscita», cosa su cui – per la verità – l’Eurozona si è impegnata da tempo. Non solo. La Commissione spinge per una revisione dei sistemi impositivi, per «spostare la tassazione verso prelievi che danneggino meno la crescita» (puntare a consumi e immobili). Senza dimenticare la contribuzione ambientale. Bruxelles è attenta al fattore lavoro e qui suggerisce di «considerare una riprofilatura delle aliquote». Propone quindi di allargare la base dei prelievi, «limitando le esenzioni e l’Iva ridotta», imposta che nella ricetta europea ha un ruolo importante.

Come la lotta all’evasione fiscale, ovviamente, e la regina delle voci di spesa, quella previdenziale. «Essenziale allungare l’età della pensione in linea con le aspettative di vita», scrive l’analisi, «assicurando al contempo gli strumenti per un’efficace integrazione dei lavoratori meno giovani», con incentivi paralleli per allungare la carriera lavorativa. Si delinea una tattica da bilancino, lo impone la fragilità del contesto. Eppure, afferma il Growth Report, una serie di «credibili» impegni di risanamento e una manovra sulla crescita potrebbero avere effetti rapidi. Il rafforzamento delle banche viene subito dopo, nel nome della liquidità che non si trova. E’ una mossa chiave come le riforme strutturali per il potenziale di crescita, la competitività del sistema e il taglio dei prezzi. I salari sono compresi: devono riflettere la produttività. Ieri il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, ha detto che «la posta è alta e si chiama interesse collettivo». La Commissione timola le capitale a ragionare insieme. In fretta. Per non giocarsi il passato (il Welfare) e il futuro (la ripresa) in una sola terribile mano.

0,5 per cento La crescita del Pil europeo prevista per il 2012

25 per cento La crescita del rapporto debito/Pil tra 2007 e 2013

0,1 per cento La stima della crescita italiana per il 2012

Fonte: La Stampa

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