Il settore del mutualismo e del welfare è quello che in questi anni difficili ha registrato in Europa il più alto tasso di crescita e di innovazione. Una realtà su cui però c’è poca consapevolezza e che non è ancora pienamente riconosciuta a livello normativo. Nell’Ue le mutue offrono servizi sociali e sanitari a 230 milioni di cittadini e rappresentano 180 miliardi di euro in quote associative. Si tratta di realtà con tradizioni antiche, ma di grande attualità in un mondo in via di cambiamento.
La grande crisi finanziaria ed economica che ha sconvolto il mondo a partire dal 2008 ha avuto conseguenze pesanti sul welfare, che è alla base del modello sociale europeo. I bilanci statali si sono ridotti un po’ dappertutto e le prestazioni in termini sanitari e sociali si sono andate assottigliando. Inoltre tutte le previsioni economiche e demografiche ci indicano che nei prossimi decenni i sistemi di welfare dovranno andare incontro a ristrutturazioni profonde e sperimentare nuovi modelli per non rischiare la bancarotta.
Servono innovazioni nell’erogazione delle prestazioni, dalla telemedicina all’Ict al ricorso alle reti sociali formali e informali, ma servono innovazioni anche nei modelli organizzativi, con più pluralismo rispetto a un welfare complementare centralizzato. In questo contesto, la vitalità del mondo mutualistico rappresenta una ricchezza che l’Ue deve imparare a proteggere e valorizzare.
Da anni al Parlamento europeo lavoriamo insieme a eurodeputati di diverse nazionalità e diversi orientamenti politici nell’Intergruppo per l’Economia sociale, che si occupa in maniera organica di temi che altrimenti sarebbero dispersi tra commissioni parlamentari differenti. Personalmente ho curato il rapporto di Iniziativa sull’Economia sociale di mercato per un maggiore riconoscimento culturale e giuridico di tutte le realtà del mondo associativo. A marzo del 2013 abbiamo approvato una risoluzione per chiedere alla Commissione europea di presentare delle proposte legislative per permettere alle mutue di operare su scala continentale e transfrontaliera.
Il dibattito è in corso e noi continuiamo a incalzare l’esecutivo comunitario. Serve uno statuto della mutua europea che rimuova gli ostacoli normativi che oggi impongono una frammentazione eccessiva dei mercati e che ostacolano l’innovazione e le economie di scala. Uno statuto della mutua permetterebbe di introdurre sistemi mutualistici anche in quei Paesi che oggi sono rimasti indietro. Inoltre, visto che esiste sempre il rischio che la moneta cattiva scacci quella buona, la normativa comunitaria deve tutelare la natura solidaristica di tali organizzazioni, stabilendo norme di governance democratiche e trasparenti. È necessario individuare, sperimentare e regolare forme innovative di collaborazione tra Stato e Mercato, tra istituzioni e associazioni di cittadini. I principi etici devono entrare a far parte dei meccanismi di mercato e devono essere riconosciuti.
In Italia, dove la spesa pubblica sanitaria è già a livelli più bassi di altri Paesi europei, la necessità di ridurre il debito pubblico rischia di accelerare i problemi di sostenibilità finanziaria del welfare che sono comuni a tutti i Paesi economicamente avanzati. Per questo il necessario sviluppo e consolidamento delle realtà mutualistiche deve essere un obiettivo perseguito con coerenza da tutti gli attori che compongono il cosiddetto “sistema Paese” a tutti i livelli amministrativi. Dobbiamo essere in grado di farci sentire in Europa per avere una Ue più attenta ai bisogni sociali e alle realtà che ci lavorano.
Articolo di Patrizia Toia, tratto dal bimestrale Valori (Dicembre 2016 – Gennaio 2017)